Chiara Corbella Petrillo, nelle parole del padre Roberto
La semplice profondità di una figlia, moglie e madre.

(Lazio Sette, Avvenire, di Simone Ciampanella, 15 febbraio 2015)

In occasione della Giornata del malato celebrata a La Giustiniana, in cui i genitori di Chiara Corbella Petrillo, Roberto e Maria Anselma hanno condiviso il loro «tempo santo» con la figlia, abbiamo chiesto al padre di aiutarci a capire il «segreto» di questa giovane ragazza. Di fronte alla storia di Chiara sembra quasi di essere davanti a una montagna assolata che attira lo sguardo, ma crea anche timore perché la vetta è troppo alta. È così? Quello che cerchiamo di dire, attraverso la nostra testimonianza, è che Chiara era una ragazza normale come molte della sua età, una ragazza jeans e maglietta, speciale ma con un percorso di vita non differente dalle altre. Se la si immagina come una bigotta devota o rivolta unicamente alla spiritualità, si è completamente fuori strada. E questo è importante soprattutto per i giovani, che magari pensano: «Come avrà fatto? Io non sono in grado di seguire quella strada». Una ragazza con una personalità cristallina. Ha avuto sempre un carattere forte, deciso ma mite, mai con la presunzione di dire: «Io sono nel giusto poveracci gli altri». Questa sua disponibilità nei confronti di tutti si comprende bene pensando alle sue amicizie, alcune delle quali con persone diametralmente opposte a lei, che magari non credevano. Sempre in ascolto della posizione di chi non la pensava come lei, era fedele alla sua identità. «Io ti dico chi sono, e non ho alcuna pretesa nei tuoi confronti».

Però non si può nascondere una certa eccezionalità nella vostra vicenda, sia nelle prove della vita sia nelle risposte date. È difficile raccontare le fasi della nostra storia. Diciamo che all’inizio mi capitava di riflettere sulla felicità della nostra famiglia: soddisfazioni professionali, due figlie splendide, Elisa e Chiara, percorsi di vita che miglioravano sempre di più. Anche il matrimonio di Chiara con Enrico rappresentava il coronamento di una vita bella che ci aveva sorriso. Andavamo alla grande, eravamo partiti con slancio e andavamo sempre bene. Poi in tempi brevissimi è accaduto di tutto. Prima Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, transitati sulla terra solo per alcuni minuti. Vedi, ci sono i disperati che si lamentano di tutto e gli eroi che dicono di sopportare con coraggio le difficoltà. La risposta di Chiara ed Enrico, è stata serena, naturale, è stata di accoglienza verso quello che accadeva, senza interpretare il loro gesto come qualcosa di straordinario. Ricordo la gioia dei pochi momenti con i due primi figli. La richiesta di Chiara di vedere subito Maria appena partorita, quando i medici l’avevano subito messa da parte. O l’impegno di Enrico nello studiare le protesi per Davide durante la gestazione. Devo dire che come padre, avrei consigliato maggiore prudenza sul discorso figli, un genitore ha quest’attenzione, però la determinazione delle loro scelte non lasciava spazio ad altre ipotesi. Così è arrivato Francesco. Sembrava che tutto si fosse sistemato, il bambino cresceva sano nel grembo. Poi la diagnosi del tumore a Chiara. Anche in questa nuova prova Enrico e Chiara non hanno avuto dubbi, dovevano tutelare il piccolo. Dopo la nascita di Francesco inizia un tempo che con il Papa possiamo chiamare «santo». Che cos’è? Di fronte all’incedere della malattia di Chiara, abbiamo assunto due posizioni differenti, che raccolgono due modi di affrontare la sofferenza. Mia moglie, donna di profonda fede, chiedeva il miracolo della guarigione per sua figlia. Io, più pragmatico, mi arrampicavo sugli specchi, battendo le strade che la scienza offriva. Chiara, valutava attentamente le terapie proposte accettando ciò che le sembrava ragionevole, con l’unica condizione di non allontanarsi dalla famiglia. Ed è forse in questo periodo che abbiamo iniziato a riscoprire nostra figlia, l’abbiamo iniziata a conoscere in un’altra prospettiva, che ci ha rivelato, e tutt’ora continua a farlo, oltre alla sua grande umanità la natura della fede. La richiesta di Chiara a Dio era infatti di farla restare qui finché tutti non fossero stati pronti alla sua morte, un atteggiamento difficile da accettare per dei genitori. Tanto che durante i mesi della malattia ci fu una discussione tra madre e figlia. Maria Anselma domandava a Chiara se chiedesse veramente a Dio di guarire, e lei rispondeva dicendo che ovviamente sarebbe stata felice di vivere, ma se il Signore aveva pensato questo percorso voleva dire che era la cosa migliore per lei e per quelli che le erano intorno e perciò era comunque contenta. Insisteva molto sul fatto che la prospettiva degli uomini e differente da quella di Dio, che solo sa cosa è bene per l’uomo. Il miracolo consiste in questa comprensione? Noi cercavamo un miracolo e ne abbiamo trovato un altro: la serenità di fronte al mistero della Croce e la gioia di aver vissuto la grazia di una vita di pienezza. Ancora oggi ci capita di imparare molto da Chiara, da alcuni fatti che riscopriamo attraverso gli amici e i conoscenti, e lo condividiamo perché sentiamo di doverne rendere partecipi gli altri. In questo non facciamo nulla di eccezionale. Prima, come dicevo, filava tutto bene, ora fila bene in un altro senso.